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Ricordo di Giulio Pellegrini - Alfredo Del Ry

L'Associazione Lucchese di Arti Figurative, affronta anche in questa VII edizione della «Mostra Nazionale di Pittura, Scultura e Grafica Città di Lucca » una retrospettiva; quella di Giulio Pellegrini firma cara ai Lucchesi.

Alcune opere di questo valido artista, sono state raccolte, riunite e collocate in un'accogliente saletta del Reale Collegio, per un più attento esame ed una più profonda conoscenza.

La rassegna conta di 36 dipinti che vanno dal 1910 al 1963 anno in cui il pittore, stanco, posò il suo pennello di verista sul cavalletto per non più riprenderlo. Abbandonava la vita piano, piano, sommessamente come se non volesse arrecare disturbo a nessuno, così come sempre era vissuto.

Nato a Lucca il primo gennaio 1888 da famiglia lucchese sia da parte di padre, che materna, fu valoroso, decorato ufficiale combattente della prima guerra mondiale. Tornò ad indossare il grigio-verde militare col grado di maggiore di fanteria, durante l'ultimo conflitto.

Insegnante di disegno per lunghissimi anni, presso la scuola d’Avviamento “Carlo del Prete” ed all’Istituto d’Arte “Augusto Passaglia” aveva lasciato da non molto l'insegnamento in quanto, seppure in pensione, veniva di quando, in quando chiamato per delle lezioni. Quelli che furono suoi allievi e che da lui appresero la disciplina del disegno come lavoro e come arte, disseminati, oggi, in aule scolastiche, officine meccaniche e in grandi o piccoli opifici industriali, indubbiamente ricordano il loro professore per la sua equità, bravura e passione per l'insegnamento.

La pittura di Giulio Pellegrini è dall'inizio, alla fine una realtà del suo mondo poetico, senza compromessi o tendenze di moda o di mercato, una poesia canora che ha il fascino delle cose semplici, di marine chiare, di paesaggi verdi, riposanti, di case sparse sulle colline indorate di luce vespertina, di frutta delicatamente posata su rustici piatti, di funghi, di timidi fiori di campo, di vecchi occhiali con riflessa la pallida luce di un mozzicone di candela o d'immagini sacre o di uccellini — Le vittime — privi di vita.

Sue opere figurano in molte collezioni private in patria e negli Stati Uniti di America ove ebbe a risiedere, per alcuni anni, in età giovanile.

Di Giulio Pellegrini artista, nel maggio del 1959 da Venezia, Gastone Breddo così, fra l'altro, scriveva: « Non v'è dubbio che quella di Giulio Pellegrini è la posizione di un appassionato della pittura; egli va incontro ai problemi del suo lavoro con animo trepido e certamente invaghito di quanto fa. Questa, si sa, è una radice fatta di rispetto ed è partenza che al di là del gioco delle tendenze, difficilmente sbaglia il suo obiettivo. La mitezza che traspare dai nitidi quadri del Pellegrini, rivela una singolare ed amabile posizione di anima: il senso di umiltà con cui il pittore si avvicina alle cose, agli oggetti che ama, a quanto costituisce insomma il suo mondo, sa pervenire a traguardi commoventi.

Osservavo in questi giorni, con interesse, alcune nature morte del Pellegrini; c'è una così premente volontà a cercare il vero, una risolutezza a fissare una forma, una pacatezza nello scoprire il tono, cui sarebbe un peccato non dare atto: né certa dolcezza che pare alla fine inondare il quadro, dovrebbe indurci a scambiarla per debolezza: proprio contro certo odierno « far forte » sta questa pittura che diventa lezione ed ammonimento. In questa atmosfera rarefatta, e quasi sfinita, nelle lievi e pur suntuose dorature, fra i pochi oggetti semplici o nelle tracce sensibili di un paesaggio, vive un'anima che ha saputo, in un lungo tempo di lavoro, manifestare una sottile musicalità e porsi fra le rilevanti figure della sua Lucca. »

Giulio Pellegrini ha lavorato, tuttavia senza continua assiduità, fino al termine dei suoi giorni lasciando incompiuti, fra gli altri, due, a mio giudizio, mirabili dipinti. Uno, il ritratto dell'adorato nipotino Andrea, opera di linguaggio pittorico personale, alla ricerca di calde tonalità per dare al ritratto una formale innocente bellezza vibrante di vita, nell'altro sono fiori gialli, modesti, soffusi d'una poetica, indicibile tristezza.
L'autunno tardo è nell'aria e vi si legge un accorato senso di distacco dai colori, dalle cose amate, dagli affetti, dalla vita. E' il presentimento dell'imminente addio che si concreta.

Assistetti al trapasso; alla fine della sua onesta, laboriosa esistenza.

Ci lasciò, credo, sorridendo; piano, piano, sommessamente come se non volesse arrecare disturbo a nessuno, nemmeno esalando l'ultimo respiro.

Alfredo Del Ry

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Gastone Breddo

Mi par già di ascoltare taluni facili commenti allorchè comparirà questo mio breve seritto dedicato alla pittura del lucchese Giulio Pellegrini. Tanto distante può parere la sua opera dal modo con cui è possibile presumere io pensi alla mia.

Soltanto apparenza debbo dire: la sostanza nelle cose dell'arte è sovente chiusa, al di là dei sospetti, in recinti fatti di discrezione e di delicate misure: non a tutti è dato di poterla reperire, nelle sue reali proporzioni, nella sua autentica nudità.

Parrà a qualcuno io sia sommamente accomodante o conciliante: di buona bocca, come suol dirsi, capace di girovagare fra mondi astratti e mondi figurali, ora dominato da un contenuto reale, spinto fino ai confini del patetico, altra volta rapito da dipinti di vaghe forme puramente allu-sive, prive d'ogni nesso con l'apparenza delle cose.

Se di recente d'esser stato gratificato, in qualità di critico, d'un certo opportunismo. Eppure ho la certezza d'essermi mosso ogni volta sotto la spinta d'una precisa convinzione, giusta o fallace che potesse essere.

Soggiungerò che è facile stroncare e negare gran parte di quanto vien posto sotto il nostro giudizio, creandosi un fittizio aspetto di intransigente severità, mentre difficile è trovare quanto di buono può essere nei più disparati linguaggi, anche se lontani da noi, anche là dove le loro proporzioni dovessero rivelarsi di modesta entità.

Non va dubbio che quella di Giulio Pellegrini è la posizione d'un appassionato della pittura: egli va incontro ai problemi del suo lavoro con animo trepido e certamente invaghito di quanto fa. Questa, si sa, è una radice fatta di rispetto ed è partenza che al di là del gioco delle tendenze, dificilmente sbaglia il suo obiettivo.

La mitezza che traspare dai nitidi quadri del Pellegrini, rivela una singolare ed amabile posizione di anima: il senso di umiltà con cui il pittore si avvicina alle cose, agli oggetti che ama, a quanto costituisce insomma il suo mondo, sa pervenire a traguardi commoventi. Osservavo in questi giorni, con interesse, aleune nature morte del Pellegrini: c'è una così premente volontà a cercare il vero, una risolutezza a fissare una forma, una pacatezza nello scoprire il tono, cui sarebbe un peccato non dare atto: nè certa dolcezza che pare alla fine inondare il quadro, dovrebbe indurei a scambiarla per debolezza: proprio contro certo odierno « far forte » sta questa pittura che diventa lezione ed ammonimento.

In questa atmosfera rarefatta, e quasi sfinita, nelle lievi e pur suntuose dorature, fra i pochi oggetti semplici o nelle tracce sensibili d'un paesaggio, vive un'anima che ha saputo, in un lungo tempo di lavoro, manifestare una sottile musicalità e porsi fra le rilevanti figure della sua Lucca.

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Gastone Breddo

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